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AGGIORNAMENTI FISCALITA’: E-commerce e contribuenti minimi o forfettari, Nuove regole Iva sui Voucher...

 AGGIORNAMENTI FISCALITA’

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Irap su personale in comando

Risposta dell’Agenzia delle Entrate ad interpello n.151/2018

Il Sig. ROSSI, dipendente dell’Università ALFA, è stato assegnato temporaneamente, a decorrere dal 1° gennaio 2017, in posizione di comando presso l’ente pubblico non economico BETA.
L’Università ALFA ha chiesto il rimborso degli oneri stipendiali relativi al Sig. ROSSI, con esclusione dell’IRAP, specificando che l’onere del versamento della stessa è a carico dell’ente presso il quale il dipendente ha prestato la propria attività, ossia l’ente BETA.
Alfa menziona la risoluzione n. 2/DPF del 12 febbraio 2008, la quale precisa che, ai fini IRAP, resta ferma, per il soggetto distaccante, la neutralizzazione delle somme ricevute o titolo di rimborso dei costi retributivi e contributivi e, per il soggetto distaccatario, la tassazione delle somme stesse.
Sulla medesima tematica, l’ente BETA menziona la circolare n. 22/E del 2015 dell’AE laddove, in relazione al distacco di personale, si afferma che sono deducibili dalla base imponibile IRAP dell’impresa distaccante i costi sostenuti in relazione al personale dipendente distaccato/impiegato con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente rilevanza degli importi spettanti, a titolo di rimborso, delle spese afferenti al medesimo personale.

Risposta dell’Agenzia delle Entrate.

 Innanzitutto l’Agenzia delle Entrate cita l’articolo 3, comma 1, lettera e-bis), del decreto legislativo n.446/97, il quale include nell’ambito soggettivo dell’IRAP le amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n.29 del 1993, ovvero tutte le amministrazioni dello Stato, tra le quali troviamo le istituzioni universitarie (ALFA) e tutti gli enti pubblici non economici nazionali (BETA). 

Per quanto rilevante in questa sede, la circolare 22/E ha esaminato la modifica apportata all’art. 11 del decreto IRAP mediante l’inserimento del comma 4-octies che ha disposto la deducibilità, agli effetti dell’IRAP, delle spese sostenute in relazione al personale dipendente impiegato con contratto di lavoro a tempo indeterminato con conseguente rilevanza degli importi spettanti, a titolo di rimborso, delle spese afferenti al medesimo personale.
Tali chiarimenti non vengono ritenuti, però, dall’Agenzia pertinenti all’ipotesi rappresentata dall’istante, dal momento che il comma 4-octies dell’articolo 11 del decreto IRAP limita la sua portata ai “soggetti che determinano il valore della produzione netta ai sensi degli articoli 5 e 9” del citato decreto, mentre l’ente pubblico non economico BETA e l’Università ALFA determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’articolo 10-bis. Tale articolo stabilisce che per le amministrazioni pubbliche la base imponibile è determinata in un importo pari all’ammontare delle retribuzioni erogate al personale dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, dei compensi erogati per collaborazione coordinata e continuativa e per attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente.
Le istruzioni al modello IRAP riservato alle Amministrazioni ed Enti Pubblici, precisano che “In caso di distacco di personale, i relativi oneri concorrono a formare la base imponibile dell’IRAP del soggetto che impegna il personale distaccato e assume rilievo il momento in cui tale soggetto eroga il rimborso degli oneri al soggetto distaccante”.
Pertanto, l’Agenzia conclude con la considerazione che, ai fini in esame, la posizione di comando del personale è assimilabile a quella del personale distaccato, e pertanto che le retribuzioni erogate al personale distaccato concorrano alla base imponibile IRAP dell’ente pubblico economico BETA, tenuto, di conseguenza, al relativo versamento IRAP

A cura di Serena Pasquali

Plusvalenza da indennità esproprio terreni

Risposte alle Istanze di Interpello n. 162 e n. 165 del 2018.

Mediante le Risposte alle Istanze di Interpello 162 e 165 del 28 dicembre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha espresso la propria posizione relativamente alla tassazione delle plusvalenze da indennità di esproprio e conseguente applicazione della ritenuta Irpef da parte dei Comuni che erogano dette indennità.
Come noto, ai sensi dell’art. 35 del Dpr. n.  327/2001 (Tuepu), rientrano fra i redditi diversi – di cui all’art. 67, comma 1, lett. b), del Tuir – le somme corrisposte a chi non esercita una impresa commerciale, a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici.
Il successivo comma 2 del citato art. 35 dispone che il soggetto che corrisponde la somma opera la ritenuta nella misura del 20%, a titolo di imposta, fermo restando la possibilità per il contribuente di optare per la tassazione ordinaria, in sede di dichiarazione dei redditi, scomputando la ritenuta subìta a titolo di acconto.
Con riferimento alle Zone omogenee, l’art. 2 del Dm. n. 1444/68, richiamato dal predetto art. 35 – individua 6 Zone territoriali:
– Zona A), il centro storico, artistico e di particolare pregio ambientale;
– Zona B), le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle Zone A);
– Zona C), le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate;
– Zona D), le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
– Zona E), le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come Zone C);
– zona F), le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

Con la Circolare Entrate n. 194/E del 1998 – in cui sono richiamate le precedenti Risoluzioni Entrate n. 30/E del 1997 e n. 111/E del 1996 – sono stati forniti ulteriori chiarimenti interpretativi con riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 11, della Legge n. 413/1991.
Al riguardo, l’Agenzia ha precisato che i citati documenti di prassi, seppur riferiti al quadro normativo contenuto nel citato art. 11, valgano anche con riferimento all’art. 35, atteso che – come precisato dal Consiglio di Stato nel Parere n. 4/2001 del 29 marzo 2001 – “l’art. 35 riproduce, con alcuni correttivi formali, l’art. 11, commi da 5 ad 8, della Legge 30 dicembre 1991, n. 413, come integrato dall’art. 21, comma 15, della Legge 27 dicembre 1997, n. 449…”. In particolare, nella citata Circolare n. 194/E del 1998, è stato chiarito che, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche ed infrastrutture urbane, il riferimento alle Zone omogenee deve ritenersi tassativo, considerato che la norma dispone l’assoggettamento a tassazione dell’indennità di esproprio con riferimento alla collocazione dell’area nelle Zone omogenee di tipo A, B, C e D, di cui al citato Dm., senza discriminare i terreni fra quelli agricoli e quelli suscettibili di un uso diverso rispetto a quello agricolo.
Ai fini della imponibilità, quindi, è necessario verificare se il terreno rientra o meno in una delle Zone omogenee richiamate dalla norma e non invece se esso sia suscettibile di edificabilità o, come nel caso di specie, se lo stesso sia destinato a verde agricolo.

In sostanza, come precisato nella citata Circolare n. 194/E del 1998, è necessario che il Comune interessato specifichi in quale Zona omogenea il terreno ricade o ricadrebbe, laddove le Zone omogenee non siano state definite.
Nel richiamato documento di prassi è stato inoltre chiarito che, per quanto concerne l’individuazione del momento da considerare per la collocazione del terreno nelle Zone omogenee – al fine di stabilire l’assoggettabilità o meno a tassazione dell’indennità di esproprio – si deve far riferimento, non all’emissione del Decreto di esproprio bensì all’inizio della procedura esecutiva.

Risposta n. 162

L’Agenzia ha ricordato la Sentenza della Corte di Cassazione n. 8287 del 4 aprile 2018, che nel richiamare altre Pronunce, ha precisato che “la Legge n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, attribuisce rilevanza unicamente all’essere la plusvalenza conseguente alla percezione di indennità o risarcimenti relativi ‘a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle Zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al Dm. 2 aprile 1968, (…) definite dagli strumenti urbanistici (..)’. Tanto prescinde – come già da questa Corte affermato (tra le tante Cassazione n. 15845/2004) – dalla classificazione risultante dal locale Piano regolatore con riguardo a Zone non comprese nella classificazione formale del predetto Dm. Le previsioni di uno strumento urbanistico locale, quand’anche legittimamente adottate, sono del tutto irrilevanti ai fini specifici, perché non considerate affatto dalla normativa nazionale. Mentre quel che conta è il criterio che, ai sensi dell’art. 11, comma 5, Legge cit., sottopone a tassazione le plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità o di risarcimenti in relazione alla mera collocazione dei suoli nelle Zone omogenee indicate (di tipo A, B, C, D), senza rilevanza di alcuna ulteriore distinzione (tra aree aventi vocazione edificatoria e terreni agricoli). Per cui, ai fini dell’assoggettamento ad imposizione, occorre solo verificare se l’area, in relazione alla quale si verifica il presupposto impositivo, sia inserita in una di queste Zone, o per espressa previsione dello strumento urbanistico generale di primo livello, ovvero per il suo inserimento in linea di fatto in forza di Piano attuativo di secondo o terzo livello (cfr. Cassazione n. 9455/2006); fermo restando che, comunque, non rileva, allo scopo di escludere l’imponibilità ai fini Irpef, il fatto che l’area, secondo il locale Piano regolatore, si trovasse all’interno di Zona altrimenti destinata, poiché tale previsione non è sufficiente a escludere la relativa inerenza dell’area alle Zone omogenee considerate avuto riguardo alla sua destinazione effettiva (Cassazione Sezione 5, Sentenza n. 652 del 2012)’ (in senso conforme, cfr. Cassazione, Sentenza n. 11409 del 2015)”.

Nel caso di specie, nella relazione di stima allegata all’istanza si legge testualmente “… per l’esproprio delle particelle formanti verde agricolo …”, mentre nella stessa istanza viene precisato che per “verde agricolo” “… il vigente strumento urbanistico adottato dal Comune di …, segnatamente il Piano urbanistico … attribuisce il seguente significato: ‘zona [che] comprende le parti del territorio destinate prevalentemente ad usi agricoli’”.
Tanto premesso, ai fini dell’individuazione del regime di tassazione, l’Agenzia ha ritenuto che, in presenza di aree ricadenti nelle Zone destinate a “verde agricolo”, come nel caso di specie, è necessario accertare – come anche precisato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 8287 del 4 aprile 2018 – se la destinazione delle stesse non possa considerarsi mutata in virtù di eventuali strumenti urbanistici di successivo livello che superano l’iniziale destinazione dell’area.
Nel caso di specie, la destinazione urbanistica delle aree espropriate – ancorché originariamente ricomprese, nel Piano urbanistico comunale, tra le Zone destinate a verde agricolo – è di fatto mutata allorquando l’Ente Locale le ha destinate alla realizzazione di una infrastruttura pubblica. Pertanto, l’Agenzia ha ritenuto che i terreni espropriati rientrino nell’esclusione prevista dalla lett. E) del Dm. n. 1444/68, ossia quelle Zone che – pur mantenendo il loro carattere agricolo – vengono utilizzate per la realizzazione di insediamenti da considerare come Zone omogenee C).
Sulla base delle suesposte argomentazioni, l’indennità erogata è soggetta ad Irpef ai sensi dell’art. 35, comma 1, del Dpr. n. 327/01, secondo le disposizioni contenute negli artt. 67 e 68 del Tuir, e dunque il Comune erogante, al momento della corresponsione dell’indennità in parola, dovrà effettuare la ritenuta del 20% prevista dal comma 2 del suddetto art. 35.

Risposta n. 165

 Nella relazione di stima, allegata all’Istanza di Interpello, si legge testualmente “… per l’esproprio delle particelle formante zona di attrezzature collettive – impianti sportivi …”, mentre nella stessa istanza viene precisato che per detta Zona “… il vigente strumento urbanistico adottato dal Comune di .., segnatamente il Piano urbanistico … attribuisce il seguente significato: ‘Zona [che] comprende le aree destinate al fabbisogno comunale per gli impianti sportivi [, con l’effetto che] sono ammesse esclusivamente le costruzioni e le infrastrutture necessarie per praticare attività sportive all’aperto e al coperto [, ivi compresi] … i servizi igienico-sanitari e di pronto soccorso, i vani indispensabili per la manutenzione e la cura degli impianti stessi nonché per il deposito delle attrezzature sportive…’”.

Ciò detto, l’Agenzia ha ritenuto che, nel caso di specie, la questione prospettata prescinda dalla definizione della Zona omogenea in cui ricade il terreno oggetto di esproprio.
Nella fattispecie infatti l’istante – in qualità di sedicente affittuario e conduttore agricolo del terreno espropriato, di proprietà di terzi– riferisce che riceverà, da parte del Comune, una somma a titolo di indennità spettante agli affittuari.
Nella richiamata Circolare Entrate n. 194/E del 1998, è stato chiarito che non danno luogo a plusvalenza, tra l’altro, le “… indennità aggiuntive erogate ex art. 17, comma 2, della Legge n. 865/1971, ai coloni, mezzadri, fittavoli e altri coltivatori diretti del terreno espropriato, le quali non costituiscono il corrispettivo ‘del passaggio in capo all’espropriante del diritto dominicale sull’immobile’, ma rispondono all’esigenza di tener conto della ‘perdita delle concrete possibilità di lavoro (agricolo) costituenti la principale fonte di reddito per il coltivatore diretto e la sua famiglia’”.
Il richiamato art. 17, comma 2, della Legge n. 865/1971, è stato abrogato, a decorrere dal 30 giugno 2003, dall’art. 58 del Tuepu, e sostituito dall’art. 42 del Tuepu, che ne riproduce sostanzialmente lo stesso contenuto, in quanto statuisce che “spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità”.
Tanto premesso, l’Agenzia ha ritenuto che i chiarimenti forniti con la richiamata Circolare n. 194/E del 1998 – redatta in vigenza dell’abrogato art. 17 – trovano oggi applicazione con riferimento al citato art. 42 del Tuepu e, pertanto l’istante, nella sua qualità di fittavolo (affittuario) del terreno espropriato, non è tenuto ad assoggettare ad Irpef, ai sensi dell’art. 35, comma 1, del Dpr. n. 327/2001, la somma che riceverà a titolo di indennità.

A cura di Federico Zambello

Nuove regole deduzione interessi passivi e ROL

Con il Decreto Legislativo n. 142 del 29 novembre 2018 vengono introdotte rilevanti novità in materia di deducibilità degli interessi passivi e viene riscritto completamente l’articolo 96 del Tuir.
Prima di procedere ad esplicare le novità si riassume di seguito la normativa precedente.
L’attuale formulazione dell’articolo 96 Tuir prevede, per i soggetti Ires, che gli interessi passivi e gli oneri assimilati sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati, mentre l’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del cosiddetto Reddito Operativo Lordo “Rol” annuale dell’impresa (un concetto pressoché identificabile con l’EBIT).
Vengono al contrario interamente dedotti, perché esclusi dalla normativa, gli interessi passivi capitalizzati, gli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione per le società che svolgono in via effettiva e prevalente attività immobiliare.
La parte del “Rol” prodotto non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza può essere portata ad incremento del Rol dei successivi periodi d’imposta (senza limiti temporali).
Gli interessi attivi invece non possono essere riportati in esercizi successivi, se in esubero.
La nuova formulazione dell’articolo 96 del Tuir, in vigore dal 1 gennaio 2019, sfavorevole ai contribuenti, prevede:
  • l’estensione dei limiti di deducibilità per alcune tipologie di interessi, come gli interessi passivi capitalizzati e gli interessi derivanti dai debiti di natura commerciale (la legge di Bilancio 2019 fa salvo il regime di deducibilità integrale degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione, per le società che svolgono in via effettiva e prevalente attività di gestione immobiliare);
  • la possibilità di riportare nei periodi successivi anche gli interessi attivi, oltre all’eccedenza di “Rol”;
  • la possibilità di riportare le eccedenze di Rol solo per i cinque esercizi successivi;
  • la modifica al sistema di calcolo del Rol: prima questo faceva riferimento ai valori contabili di bilancio, mentre dal 2019 deve essere calcolato in base ai valori fiscali (si parla infatti di “Rol fiscale”) rilevanti ai fini delle imposte sul reddito.
  • Inoltre la nuova disposizione prevede un meccanismo specifico per l’erosione del “Rol”: in via prioritaria va utilizzato il 30% del Rol dello stesso periodo e in seguito il 30% del Rol riportato da periodi d’imposta precedenti (da quello relativo al periodo d’imposta al meno recente). La quota di interessi passivi eccedente è deducibile nei successivi periodi d’imposta, senza limiti temporali.
    Da ultimo viene prevista una disciplina transitoria in ragione della modifica normativa.

    A cura di Maddalena Silingardi

    E-commerce e contribuenti minimi o forfettari

    I contribuenti che adottano il regime dei minimi (D.L. 98/2011) oppure quello forfettario (L.190/2014) sono soggetti a particolari regole fiscali ai fini IVA. Per quanto riguarda il commercio elettronico, i due regimi non sono soggetti agli adempimenti specifici del settore dell’e-commerce, ma seguono le regole applicative “ordinarie”. È necessario porre particolare attenzione, però, al caso in cui si effettuino delle operazioni con soggetti intracomunitari. In questo caso esistono diverse regole per minimi e forfettari, a seconda che si tratti di cessioni o acquisti di beni o servizi.
    Per quanto riguarda il regime forfettario, si fa riferimento alle regole definite dalla circolare 10/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso in cui il contribuente forfettario effettui una cessione di beni verso un soggetto passivo UE, non ci sono adempimenti particolari, l’operazione è considerata interna e si deve indicare in fattura la dicitura “non costituisce operazione intracomunitaria ai sensi dell’articolo 41, comma 2-bis, D.L. 331/1993”. Si devono invece distinguere due casi, nell’ipotesi in cui vengano effettuati degli acquisti intracomunitari di beni:
  • Acquisti intracomunitari inferiori a 10.000 euro nell’anno precedente e fino al raggiungimento del limite nell’anno in corso: l’Iva dovrà essere assolta nel Paese del cedente e non ci sono altri obblighi;
  • Acquisti intracomunitari superiori a 10.000 euro nell’anno precedente o in corso: le operazioni vengono considerate intracomunitarie; è necessaria perciò l’iscrizione del soggetto al Vies, l’integrazione con Iva della fattura con il conseguente pagamento, tramite F24, dell’Iva (indetraibile) entro il 16 del mese successivo e la compilazione del modello Intrastat.
  • Nel caso di acquisti di servizi UE, non si considera il limite dei 10.000 euro, ed è sempre necessario procedere con gli adempimenti relativi alle operazioni intracomunitarie e al versamento dell’Iva italiana. Anche nel caso di vendita di servizi l’operazione si considera intracomunitaria, con l’obbligo di inscrizione al Vies, compilazione del modello Intrastat e emissione della fattura senza Iva con l’indicazione “inversione contabile o reverse charge Iva articolo 7-ter d.p.r. 633/1972”.
    La trattazione delle operazioni intracomunitarie nel regime dei minimi è molto simile a quella del regime forfettario; la principale differenza consiste nella mancanza del limite di 10.000 euro per gli acquisti di beni: nel caso in cui l’acquisto UE venga effettuato da un contribuente minimo l’operazione si considera sempre intracomunitaria, con i conseguenti obblighi di iscrizione al Vies, di integrazione della fattura con relativo pagamento dell’Iva italiana e di compilazione dei modelli Intrastat. Inoltre, per quanto riguarda le cessioni di beni, il contribuente minimo indicherà in fattura “operazione effettuata ai sensi dell’articolo 1, comma 100, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007). Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e per i lavoratori in mobilità di cui all’articolo 27, commi 1 e 2, del D.L. 98/2011”; come per il regime forfettario, infatti, la cessione di beni viene considerata un’operazione interna.
    Si deve però tenere in considerazione il fatto che, sia per il regime dei minimi che per il regime forfettario, si ha un’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti e l’iscrizione al Vies comporta quindi l’adempimento dell’Iva italiana. Nel caso in cui gli appartenenti ai due regimi effettuino degli acquisti UE ma non procedano con l’iscrizione al Vies, le operazioni si considerano comunque valide, ma l’Iva verrà pagata nel Paese UE del cedente, il quale la addebiterà in fattura. Nel particolare caso di questi regimi, quindi, la mancata iscrizione al Vies potrebbe diventare una scelta, non dovendo effettuare il versamento dell’Iva italiana tramite F24 e comportando anche l’esclusione dall’obbligo di compilazione dei modelli Intrastat.

    A cura di Francesca Fratti

    Note di variazione Iva nel concordato in continuità

    Attraverso risposta all’interpello n. 113/2018, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con riferimento alle note di variazione emesse da parte di soggetti ammessi, in qualità di creditori chirografari, ad una procedura di concordato preventivo in continuità ai sensi dell’art. 186-bis della Legge Fallimentare. I punti chiariti sono tre: 1) l’esatto momento a partire dal quale i creditori sono legittimati ad emettere le note di variazione in diminuzione 2) il termine ultimo entro il quale i creditori possono esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva sulle note di variazione emesse 3) l’eventuale obbligo in capo al debitore concordatario del versamento dell’Iva relativa alle note di variazione ricevute.
    Per quanto attiene al momento a partire dal quale i creditori sono legittimati all’emissione delle note di variazione IVA è bene premettere che l’art. 26, 2° comma del D.P.R. 633/72 stabilisce che l’infruttuosità di una procedura concorsuale è circostanza che legittima il cedente del bene o il prestatore del servizio ad emettere una nota di variazione al fine di recuperare l’imposta versata sulla parte dell’imponibile non pagato dal cessionario o committente. Tuttavia, per una applicazione a carattere più “operativo” del comma in questione è necessario fare riferimento alla Circolare del Ministero delle Finanze n. 77 /E del 17 aprile 2000. La circolare stabilisce che, nel caso specifico del concordato preventivo, sia possibile parlare di “infruttuosità della procedura” solo per la parte di credito riconducibile a creditori chirografari che non trova accoglimento con la chiusura del concordato, e che l’effettiva “infruttuosità” deve essere valutata tenendo conto non solo della sentenza di omologazione ex. art. 181 della Legge Fallimentare, ma anche del momento in cui il debitore adempie effettivamente agli obblighi assunti in sede di concordato. Pertanto l’emissione di una nota di variazione in diminuzione, sempre nel caso in cui il debitore ammesso alla procedura di concordato non sia stato dichiarato fallito nel mentre, è possibile soltanto dal momento in cui è portato a compimento il piano di riparto.
    Con riferimento invece al termine ultimo affinché il soggetto creditore possa avvalersi del diritto alla detrazione dell’Iva sulla nota di variazione emessa, l’Agenzia delle Entrate richiama la risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002, in cui è chiarito che pur non esistendo un limite temporale per effettuare variazioni in diminuzione, il diritto alla detrazione dovrà comunque essere esercitato entro i termini previsti dalla legge. In particolare, qualora il presupposto per l’emissione della nota di variazione in diminuzione sia avvenuto nel periodo a partire dal 1° gennaio 2017, l’art. 19 1° comma del D.P.R. 633/72 stabilisce che il diritto alla detrazione può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il medesimo diritto è sorto. L’Agenzia delle Entrate sinteticamente conclude affermando che ”la nota di variazione emessa decorsi tali termini, non legittima l’emittente alla detrazione e non obbliga alla registrazione chi la riceve”.
    Da ultimo, l’Agenzia delle Entrate, richiamando la risoluzione n. 161/E del 17 ottobre 2001, chiarisce che il debitore concordatario non è tenuto al versamento dell’Iva afferente alle note di variazione ricevute dai creditori. Difatti, se da un lato le disposizioni generali dettate dall’art. 26 5° comma del D.P.R. 633/72 richiedono al cedente o prestatore di registrare, nei limiti della detrazione effettuata e a norma dell’art. 23 o 24 del medesimo D.P.R., la nota di variazione ricevuta, rimane pur vero che la norma in questione deve essere interpretata con riferimento agli effetti tipici generati dal concordato preventivo. In particolare, per una corretta interpretazione del comma appena citato, è necessario ricordare che la procedura di concordato preventivo produce, in un’ottica di risanamento aziendale, effetti estintivi proprio su quei debiti sorti prima dell’avvio della procedura concorsuale e per i quali i creditori sono legittimati ad emettere la nota di variazione. Il soggetto debitore è perciò liberato dall’eventuale obbligo verso l’Erario che dovesse sorgere a seguito dell’avvio della procedura concorsuale.

    A cura di Simone Mortari

    Nuove regole Iva sui Voucher

    In attuazione della direttiva UE 27.6.2016 n. 1065, con il D. Lgs. 29.11.2018 n. 141 (pubblicato sulla G.U. 28.12.2018 n. 300) è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la disciplina relativa al trattamento IVA dei buoni-corrispettivo (o “voucher”) mediante l’inserimento, all’interno del Decreto Iva (DPR 633/72), degli art. 6-bis, 6-ter e 6-quater, nonché del co. 5-bis nell’art. 13.
    Le nuove disposizioni si applicano ai buoni-corrispettivo emessi successivamente al 31.12.2018, ossia a partire dall’1.1.2019.
    In primo luogo con l’attuazione del D. Lgs. 141/2018 viene definito che cos’è un buono- corrispettivo; ovvero secondo l’art. 6-bis del DPR 633/72 per “buono-corrispettivo” si intende “uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che indica, sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative”.
    I buoni-corrispettivo possono presentarsi in forma fisica o elettronica.
    A seconda che le informazioni necessarie per la tassazione siano disponibili al momento dell’emissione del buono o a quello del riscatto dello stesso, un buono-corrispettivo può essere classificato come:
  • monouso;
  • multiuso.

  • La disciplina IVA dei buoni-corrispettivo “monouso” è contenuta nell’art. 6-ter del DPR 633/72: “Un buono-corrispettivo di cui all’articolo 6-bis si considera monouso se al momento della sua emissione è nota la disciplina applicabile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto.”
    Un buono-corrispettivo si considera quindi “monouso” se, al momento della sua emissione, è nota la disciplina IVA applicabile alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il predetto buono dà diritto.
    In sostanza, devono essere noti al momento della cessione o dell’emissione del voucher monouso tutti gli elementi richiesti ai fini della documentazione dell’operazione (trattamento fiscale ai fini IVA della cessione di beni o prestazione di servizi, qualità e quantità dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione, luogo di effettuazione della prestazione di servizi o cessione di beni, identità dei cedenti).
    La base imponibile IVA per il trasferimento dei buoni-corrispettivo monouso è data dal corrispettivo ricevuto per la cessione dello stesso. Per questa tipologia di buoni si ha una tassazione immediata poiché ai fine dell’applicazione dell’IVA risultano essere conosciuti tutti gli elementi richiesti.
    Infine anche nel caso in cui la cessione di beni o la prestazione di servizi a cui il buono-corrispettivo monouso dà diritto viene effettuata da un soggetto diverso da quello che ha emesso detto buono-corrispettivo, tale è sempre rilevante ai fini Iva e si considera resa nei confronti del soggetto che ha emesso il buono-corrispettivo.
    La disciplina IVA dei buoni-corrispettivo “multiuso” è contenuta invece:
  • nell’art. 6-quater del DPR 633/72;”
  • nell’art. 13 co. 5-bis del DPR 633/72, in relazione alla determinazione della base imponibile IVA.
  • Un buono-corrispettivo si considera “multiuso” se, al momento della sua emissione, non è nota la disciplina IVA applicabile alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il predetto buono dà diritto.
    A titolo esemplificativo, si pensi a una “carta regalo” la quale può essere utilizzata presso un esercizio commerciale per acquistare beni soggetti ad aliquote IVA differenti.
    Nel caso di un buono-corrispettivo multiuso, la cessione di beni o la prestazione dei servizi si considera effettuata al verificarsi degli eventi previsti dall’art. 6 del DPR 633/72 (es. consegna o spedizione per le cessioni di beni mobili), restando irrilevanti ai fini dell’Iva ogni trasferimento del buono che ne precede la spendita e considerando come momento del pagamento l’accettazione del buono come corrispettivo (o parziale corrispettivo) dei beni o dei servizi.
    In caso di utilizzo di un buono-corrispettivo multiuso, la base imponibile dell’operazione soggetta ad IVA è costituita:
  • dal corrispettivo dovuto per il buono;
  • ovvero, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, dal valore monetario del buono al netto dell’IVA relativa ai beni ceduti o ai servizi prestati.
  • Per i predetti servizi di distribuzione e simili autonomamente rilevanti ai fini IVA, la base imponibile comprensiva dell’imposta è costituita, qualora non sia stabilito uno specifico corrispettivo, dalla differenza fra:
  • il valore monetario del buono e l’importo dovuto per il suo trasferimento.
  • Infine come precisato nei “Considerando” della direttiva 2016/1065/UE, richiamati anche nella relazione illustrativa del DLgs. 141/2018, la predetta disciplina non riguarda:
  • gli strumenti di pagamento, i quali non comportano il diritto a ricevere beni o servizi, ma hanno la sola finalità di effettuare il pagamento;
  • i titoli di trasporto, i biglietti di ingresso a cinema e musei, i francobolli e altri titoli similari adette tipologie di documenti;
  • gli strumenti che conferiscono al titolare il diritto a uno sconto all’atto dell’acquisto di beni o servizi.
  • Nella relazione illustrativa del DLgs. 141/2018 è stato precisato, inoltre, che i buoni pasto continuano a essere assoggettati alla disciplina IVA prevista per le prestazioni di servizi sostitutivi di mense aziendali (DM 7.6.2017 n. 122).

    A cura di Davide Benato

    Modifiche al Codice civile dal Codice della “crisi”

    In data 10 gennaio 2019 il governo ha approvato lo schema di D. Lgs. rubricato “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, in attuazione della legge delega n. 155/2017, volta a riformare il sistema delle procedure concorsuali tuttora in vigore nel nostro ordinamento e a prevenire l’insolvenza delle imprese. Tra le molteplici aree di intervento del Decreto, sicura menzione meritano alcune delle disposizioni contenute negli articoli dal 375 al 384, che vanno a modificare alcune norme contenute nel Codice Civile e la cui entrata in vigore è prevista entro 30 giorni dalla pubblicazione del D. Lgs. in Gazzetta Ufficiale.
    Se da un lato alcune delle sopracitate modifiche nient’altro sono che un mero adattamento lessicale alla nuova terminologia introdotta con il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, altre si distinguono per una decisa portata innovativa. In particolare, al fine di raggiungere gli obbiettivi sottesi al Decreto, sono utilizzate due differenti leve: il rafforzamento degli assetti organizzativi interni all’impresa e la maggior “responsabilizzazione” degli amministratori nei confronti dei creditori sociali.
    Per quanto attiene agli assetti organizzativi dell’impresa, l’art. 375 del Decreto richiede, attraverso l’aggiunta di un secondo comma all’art. 2086 del C.C., che “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Come attenta dottrina ha avuto modo di rilevare, la disposizione in questione ha in qualche misura generalizzato e rafforzato un obbligo espressamente previsto per le sole società per azioni dall’art. 2381 del Codice Civile.    
     A conferma dell’intento del legislatore di estendere l’obbligo di istituire un assetto organizzativo amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, l’art. 377 del Decreto interviene direttamente sugli articoli del Codice Civile che regolamentano l’amministrazione di specifiche tipologie di società. Gli articoli del Codice Civile interessati sono l’art. 2257 per le società semplici, l’art. 2380-bis per le società per azioni, l’art 2409-novies per le società per azioni che adottano il sistema dualistico e l’art 2475 per le società a responsabilità limitata. In particolare, l’art. 377 del Decreto richiede che gli articoli sopracitati siano modificati in maniera tale da indicare esplicitamente che la gestione sia svolta nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086.
    Al fine di un ulteriore rafforzamento del sistema di controllo interno, l’art. 379 del Decreto interviene sulle soglie superate le quali una società a responsabilità limitata, e di conseguenza una società cooperativa in ragione dell’art. 2543 del Codice Civile, è obbligata alla nomina dell’organo di controllo o del revisore, abbassandole. Se il testo tuttora in vigore dell’art. 2477 del Codice Civile impone la nomina nel caso in cui per due esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti indicati dal primo comma dell'articolo 2435-bis concernente la facoltà di redigere il bilancio in forma abbreviata per le società per azioni, la versione novellata recita: “La nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società: […] ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti:
    1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro;
    2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro;
    3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 unità.
    Alle società che superano i suddetti limiti sono concessi nove mesi dalla data di entrata in vigore della norma per provvedere alla nomina dell’organo di controllo o del revisore e, se necessario, ad uniformare l’atto costitutivo e lo statuto.
    In sede di prima applicazione della norma i due esercizi consecutivi da considerare per la verifica dei limiti sono il 2017 e il 2018.
    Come già avuto modo di accennare, il Decreto, attraverso l’art. 378, agisce anche sul tema della responsabilità degli amministratori. In particolare sono modificati gli artt. 2476 del Codice Civile, riguardante le società a responsabilità limitata in regolare funzionamento, e 2486 del Codice Civile, riguardante le società di capitali in liquidazione. 
    Riguardo alle modifiche apportate all’art. 2476 del Codice Civile, le nuove disposizioni prevedono che gli amministratori rispondano verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e che l’azione di responsabilità possa essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Per quanto invece attiene alle modifiche apportate all’art. 2486 del Codice Civile, è introdotto un criterio di misurazione del danno risarcibile nel caso in cui gli amministratori arrechino un danno ad una società in scioglimento, nel periodo precedente alla consegna di cui all'articolo 2487 bis. Il danno risarcibile è quantificato nella differenza di patrimonio netto tra il momento in cui l’amministratore è cessato dalla carica e la data in cui si è verificata la causa di scioglimento, tenuto debito conto dei costi sostenuti secondo un criterio di normalità.

    A cura di Simone Mortari

    Enti terzo settore: nuovi obblighi trasparenza

    Il Ministero del Lavoro ha fornito con la circolare 2 dell’11.01.2019 i chiarimenti necessari affinché le associazioni possano, entro il prossimo 28 febbraio, correttamente adempiere agli obblighi di trasparenza e pubblicità posti a loro carico dall’articolo 1, commi 125-129, L. 124/2017 in materia di concorrenza e in riferimento ai rapporti economici intercorsi con la Pubblica Amministrazione o con altri soggetti pubblici.
    Dette previsioni sono poste in capo sia alle imprese che alle associazioni, fondazioni e Onlus.
    Le prime (tra le quali si dovranno ritenere comprese anche le imprese sociali e le società di capitali e cooperative sportive dilettantistiche) assolveranno all’obbligo attraverso l’inserimento di dette informazioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio, mentre le associazioni dovranno pubblicare sui propri siti o portali digitali i dati relativi a “sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti nel periodo considerato e superiori a euro 10.000”.
    Il Ministero chiarisce che i destinatari della circolare in esame sono gli enti del terzo settore ma si ritiene che i suoi contenuti debbano e possano essere applicati anche dalle associazioni che non ne fanno parte, ivi comprese le sportive.
    Viene chiarito che le Amministrazioni preposte alla verifica del corretto adempimento all’obbligo in esame siano proprio quelle che hanno elargito in fondi e i benefici oggetto di comunicazione.
    Viene poi confermato che la disciplina è applicabile a partire dal 2019, relativamente ai vantaggi economici ricevuti a partire dal 1° gennaio 2018. A tale proposito il Consiglio di Stato, con proprio parere n. 1449/2018 ha definitivamente stabilito che il primo termine, entro il quale dovranno essere adempiuti tali obblighi, scadrà, appunto, il prossimo 28 febbraio 2019 per i contributi ricevuti nell’anno 2018.
    In merito alla sanzione prevista in caso di mancato rispetto di tale obbligo, ossia la restituzione del contributo erogato, viene indicato, richiamando il citato parere del Consiglio di Stato, che essa è applicabile solo alle imprese.
    Sembrerebbe, pertanto, che l’adempimento posto in capo agli enti del terzo settore e alle associazioni in genere, ivi compresi quelli sportivi, non preveda alcuna sanzione.
    Si precisa che le cooperative sociali, pur essendo attualmente Onlus di diritto, essendo a tutti gli effetti civilistici comunque imprese, saranno tenute all’inserimento dei dati nella nota integrativa con obbligo di restituzione dell’importo ricevuto in caso di mancato rispetto di tale onere.
    Vengono poi individuate le tipologie di riconoscimenti che formano oggetto della norma: “si deve ritenere che costituiscono oggetto di pubblicazione i contributi, le sovvenzioni, i sostegni a vario titolo ricevuti dalla P.A. e dagli enti assimilati (…) e le somme (…) che abbiano natura di corrispettivo cioè di una controprestazione che costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto (…)”.
    Viene chiarito che l’attribuzione del vantaggio, da parte della P.A. può avere ad oggetto anche risorse strumentali, quali ad esempio il comodato di un immobile. In tal caso si dovrà fare riferimento al valore dichiarato dalla pubblica amministrazione che ha attribuito il bene in esame.
    Andranno pubblicate le somme effettivamente ricevute nel corso del 2018. Varrà pertanto il principio di cassa e il riferimento sarà all’anno solare 2018 indipendentemente dalla decorrenza dell’esercizio sociale e dalla competenza del contributo.
    Viene previsto che per gli enti siano pubblicati gli importi superiori ai diecimila euro. La circolare chiarisce che detto limite deve essere verificato per totale. Pertanto, più contributi, i cui singoli importi siano inferiori a detto importo ma che per il loro totale lo superino, dovranno essere oggetto di pubblicazione.
    La circolare prevede poi l’inserimento tra le elargizioni oggetto di pubblicazione, anche dei contributi del cinque per mille.
    Le informazioni di cui si dovrà dare notizia sono:
    1. denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente,
    2. denominazione del soggetto erogante,
    3. somma incassata per ogni singolo rapporto giuridico sottostante,
    4. data di incasso,
    5. causale.
    Le informazioni dovranno essere riportate sul sito internet; viene indicato che l’obbligo di pubblicazione si intende rispettato anche attraverso la pubblicazione dei dati in questione sulla pagina facebook dell’ente medesimo” o attraverso il sito internet della rete associativa alla quale l’ente del terzo settore aderisce.

    A cura di Gabriele Bacchiega

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